BLOCKCHAIN PROOF OF STAKE – Le tecnologie DTL – Distributed Ledger Technology – come la blockchain, si portano dietro, fin dal momento della loro messa in rete, critiche relative all’impatto ambientale. La blockchain Ethereum ha annunciato di essere pronta a lasciare il vecchio metodo di convalida con uno nuovo in grado di arrestare ogni critica relativa alla sostenibilità ambientale.
Il Bitcoin/Ethereum Energy Consumption Index dell’Università di Cambridge, centro addetto a esaminare l’impatto ambientale della blockchain, ha evidenziato che per effettuare una singola transazione di Bitcoin ci voglianocirca 2.100 kilowattora (kWh). Non solo ha stimato che solo nel 2021 i bitcoin hanno prodotto oltre 56,8 milioni di tonnellate di CO2. Sono numeri che impressionano se si pensa che l’energia necessaria per alimentare una transazione di bitcoin equivale a quello che consuma una famiglia media statunitense in 75 giorni. A inizio 2022 invece il Bitcoin ha consumato 138 terawattora all’anno, più dell’intera Norvegia.
I dati raccolti dalla Bitcoin/Ethereum Energy Consumption Index dell’Università di Cambridge riguardano solo i bitcoin, ma dobbiamo tenere presente che le tipologie di criptovalute esistenti sono molteplici. Ognuna con il suo consumo di energia e produzione di CO2.
Sono molte le contestazioni rivolte alla tecnologia della blockchain e tutto ciò che vi deriva. In particolare è il processo del mining a essere messo sotto accusa. Si tratta del processo di condivisione della potenza di calcolo dell’hardware partecipanti alla rete. Ovvero delle operazioni necessarie per generare nuove criptomonete, verificarne l’autenticità e certificare le varie transazioni. Il mining oggettivamente richiede un alto tasso di energia:
L’alto consumo di energia richiesto dal processo di mining è giustificato dal sistema, che ad esempio viene utilizzato per la realizzazione dei Bitcoin, Proof-of-work (PoW). Si tratta di un particolare algoritmo volto a scoraggiare attacchi hacker e abusi sulla rete. Una caratteristica chiave di questi schemi è la loro asimmetria: il lavoro deve essere moderatamente complesso (ma fattibile) dal lato richiedente ma facile da controllare per il fornitore del servizio (service provider).
Il PoW comporta alti costi, sia economici, che dal punto di vista di consumo energetico e di emissioni. Questo perché prevedere numerose operazioni risolvibili solo dai computer con più alto rendimento computazionale, che impiegano comunque molto tempo per lavorare. Infatti, la rete è in grado di gestire fino a circa sette transazioni al secondo, ma richiede circa 10 minuti per confermare ogni transizione in arrivo. In questi 10 minuti si forma un nuovo blocco.
Le realtà di blockchain esistenti stanno cercando di trovare una soluzione più economica e più attenta all’ambiente. Sembra esserci riuscita, Ethereum. La seconda blockchain più diffusa al mondo si sta preparando a mettere da parte il PoW per adottare, dal 19 settembre 2022 il PoS, Proof-of-Stake.
Le criptovalute basate sulla Proof of Stake possono essere migliaia di volte più efficienti rispetto a quelle che si basano sul PoW. Si tratta di un algoritmo di consenso, il cui scopo è quello di permettere la creazione di un nuovo blocco e quindi di nuove criptomonete favorendo chi ne possiede di più. Secondo il PoS avere più monete responsabilizza il possessore e lo rende più interessato a garantire la veridicità del processo di creazione. Perché una rete disorganizzata metterebbe in pericolo la sicurezza dei propri investimenti.
Le differenze tra i due sistemi sono notevoli e comprensibili già analizzando i rispettivi nomi. Il Proof-of-Work basa il proprio meccanismo sulla prova del funzionamento, ovvero nel calcolo dello sforzo computazionale necessario a risolvere il problema matematico dietro a ogni singolo blocco. Nel PoS (prova di partecipazione) si considera invece la prova che ogni utente può fornire per dimostrare il proprio interessamento nel garantire la sicurezza della transizione. Il PoW prevede quindi l’impiego di un alto numero di computer dalle dimensioni mastodontiche per validare un’operazione, capaci di consumare moltissima energia, mentre il PoS necessita di solamente di una cauzione, presa direttamente dal proprio.
Il funzionamento del PoW prevede che ciascuno dei suoi nodi esegua un arduo lavoro di calcolo per risolvere enigmi crittografici. Nel PoS, al contrario, ciò non è necessario. Per ogni transazione viene scelto un nodo – detto validatore – sul quale convalidare l’intero blocco. La scelta viene fatta in maniera del tutto casuale, ma premia gli utenti che possiedono il maggior numero di criptovalute. I criteri utilizzati per la scelta però possono essere anche altri, come la velocità di rivendicazione, il maggior arco di tempo in cui si è presenti nella rete, ad esempio.
Entrambi gli algoritmi si portano dietro vantaggi e svantaggi. Il lancio del PoS da parte di Ethereum non fa eccezione. Si tratta di un’importante risposta alle critiche sulla sostenibilità ambientale della blockchain, ma potrebbe generare forti malcontenti nei sostenitori del mining.
Solo a luglio 2022, secondo i dati rilevati dalla società The Block, il mining di Bitcoin ha prodotto 555 milioni di dollari. Fenomeno in controtendenza rispetto al momento storico negativo che stanno vivendo le criptovalute in generale. Solo il futuro saprà dirci come gli utenti e il mercato prenderanno la sostituzione di Bellatrix (l’algoritmo PoW di Ethereum), con The Merge (l’algoritmo PoS di Ethereum).